Fare l’Europa attraverso l’Europa: Geosofia dei popoli europei per una geopolitica multipolare

Lorenzo Pacini

  1. Introduzione: geopolitica ideologica di un’Europa che aspira alla rinascita

L’emergente mondo multipolare è una rivoluzione geopolitica che non segna soltanto un cambio di paradigma rispetto al breve momento unipolare statunitense cominciato nel 1991, ma anche la fine dell’egemonia occidentale. Il cambiamento in corso verso la multipolarità favorisce le differenti civiltà in opposizione al progetto liberista della globalizzazione. Laddove la globalizzazione cerca di unificare il mondo sotto un unico sistema politico, la multipolarità esalta la diversità dei vari sistemi politici, delle varie ideologie e delle varie civiltà.

Sorge quindi una prima domanda: qual è il posto dell’Europa in questo mondo multipolare? La posizione attuale dell’Europa è all’interno dell’orbita degli Stati Uniti. Dopo settant’anni di atlantismo l’Europa, sia come continente occupato militarmente e culturalmente, sia come Unione Europea in senso di assetto politico, non sembra più in grado di esprimere i propri interessi geopolitici. Gli attacchi dei globalismi[1] sono sferrati contro il cuore della civiltà europea, procedendo ad una sistematica demolizione degli ideali e delle prassi che hanno caratterizzato i multiformi popoli del continente.

Tutti questi aspetti dell’attuale guerra culturale che imperversa in Occidente mostrano la gravità apocalittica del momento storico che stiamo vivendo. È perciò più che mai importante decidere da che parte stare.

Per quanto concerne l’Europa, ad essa si offre la scelta di stare con le élite odierne e la fine della storia che proclamano o la causa dei popoli e il proseguimento della Storia. Ciò che attualmente manca a quanti ardono di fa rinascere l’Europa è una teoria rivoluzionaria con solide idee filosofico-politiche.

Dove possono essi trovarla? Un interessante approccio è quello proposto dal filosofo e sociologo russo Aleksandr Dugin, che con la sua Quarta Teoria Politica si pone come il primo pensatore a codificare una vera e propria dottrina politica dopo secoli. Se il clima attuale che serpeggia nel continente fa sperare che il politico è tornato in Europa e che a noi Europei si offre la possibilità di scegliere tra diversi progetti egemonici o la rinascita, ecco che è forse arrivato il momento di cogliere questa occasione.

La Quarta Teoria Politica (d’ora in poi 4TP) si inserisce però, nel solco di un ampio orientamento che è quello dell’Eurasiatismo, di cui Dugin si è fatto promotore ed intellettuale di punta a livello internazionale, e pertanto non la prenderemo, perlomeno in questa sede, come modello di riferimento, preferendo invece l’interessante studio sulla teoria del mondo multipolare in riferimento alla battaglia spirituale del Logos, la Noomachia, che Dugin ha codificato nel corso degli anni. Si tenga presente che l’intento del filosofo non è quello di imporre un modello russo o eurasiatista a quanti si approcciano alla sua proposta, bensì ha l’auspicio che la 4TP possa “incarnarsi” nelle varie culture, nazioni, aree geografiche, radicandosi non come ideologia ma come idea vivificante e adattevole. È chiaro che per realizzare ciò sia necessario un lungo lavoro di ridefinizione della geopolitica ideologica, prima che geografica, la rielaborazione di una o più Weltanschauung accomunate dall’unione d’intenti e da una rinnovata metafisica politica, la cui estetica sarà la veste di una società diversa da quella che oggi conosciamo. Queste sono le precondizioni intellettuali per un’Europa sovrana in un mondo multipolare.

Con questo approfondimento cercheremo, dunque, di entrare nella geosofia dei popoli europei da una prospettiva di filosofia politica con contaminazioni sociologiche, per comprendere quanto sia necessario passare attraverso il radicamento delle identità spirituali di ciascun popolo per fare un’Europa che sia nuovamente orgogliosa di essere sé stessa.

  1. L’Europa postmoderna e l’esigenza di una visione multipolare: l’approccio ad una geosofia europea

Alla base della dimensione geopolitica del declino dell’Occidente, troviamo i residui dell’ordine unipolare, che ha visto per buona parte del Novecento gli Stati Uniti d’America come capofila di tale impostazione. L’unipolarismo ha una natura sia geopolitica che ideologica; nel primo caso, esso rappresenta il dominio strategico della Terra da parte della superpotenza nordamericana, con i relativi sforzi di organizzare l’equilibrio di potenza sul pianeta in modo da garantire la propria espansione imperialistica e nazionale, privando gradualmente le altre nazioni della loro sovranità; ideologicamente, invece, prevede una imposizione di valori di matrice liberale e moderna, in contrapposizione diretta con la Tradizione[2] [3]. È in tal senso che il filosofo e sociologo russo Aleksandr Dugin inquadra[4] l’esigenza di una diversa dottrina politica che parta da una differente impostazione geopolitica, nonché etno-sociologica, in cui coloro che sono radicati nella Tradizione possano unirsi per conservare il patrimonio del passato e varcare le soglie di un mondo diverso, la cui impostazione dovrà essere necessariamente multipolare, come vedremo in seguito.

Vediamo, pertanto, in che consiste la geosofia. Il termine derivante da due parole greche: γεω (“geo”, la terra), e σοφία (“sophia”, la sapienza o conoscenza). La geosofia consiste, quindi, nell’applicazione dei principi della Noologia allo studio delle specifiche culture e società. Si tratta di un’analisi civilizzazione condotta con l’aiuto dei concetti dei tre Logoi.

Per comprendere di cosa stiamo parlando, è utile un riferimento alla Noologia di stampo duginiano, termine usato per la prima volta nel Seicento[5] e ripreso in particolare da Lucian Blaga[6] come neologismo derivante da νος (nous) e λόγος (logos). Letteralmente è un “discorso sul Nous”, termine quest’ultimo che trova il suo corrispettivo nel tedesco Bewuβtsein, un qualcosa che giace nelle profondità della mente umana, il pensiero razionale che è ciò che lo rende l’uomo tale ed in maniera esclusiva sugli altri esseri viventi. La Noologia è una indagine profonda in noi stessi, nella natura più profonda, non in maniera astratta ma come introspezione dell’essenza.

C’è un aspetto particolarmente sociologico-politico in questo approccio filosofico, perché, dice Dugin:

Quando cerchiamo di studiare accuratamente il Nous, l’intelletto, il pensiero, scopriamo quanto il processo del pensiero dipenda dalla cultura. Se ci si muove nel contesto di una determinata cultura, si pensa in un modo. Se si appartiene ad un’altra cultura, ad un altro gruppo etnico, ad un’altra religione, ad un’altra generazione, si pensa in un modo completamente differente, pur essendo sempre un essere umano.[7]

Senza scendere troppo nel dettaglio della struttura della Noologia[8], ciò che è interessante è la tripartizione del Logos in tre logoi: di Dioniso, di Apollo e di Cibele. I tre logoi sono archetipici di ogni cultura, combinati in proporzioni diverse ma sempre tutti presenti, e proprio in virtù della loro presenza non può esistere una cultura “migliore” dell’altra, perché in profondità ogni popolo ha un’identità comune con gli altri. Il problema delle differenze e dei conflitti è meramente fenomenologico, non ontologico, non può esistere una gerarchia universale valida per tutti. Qui il moscovita afferma che:

È un punto di notevole importanza perché ci mostra che nella nostra scienza, nella nostra metodologia, nella nostra politica, nella nostra cultura, abbiamo a che fare con un tipo di approccio razzista e colonialista. Noi tendiamo a proiettare il nostro Logos, a considerarlo come qualcosa di universale. Ma lo studio approfondito delle culture ci mostra l’illegittimità di questo modo di procedere. Il razzismo non è altro che l’idea di fondo per cui il proprio Logos, la propria specifica cultura, sarebbero universali e andrebbero posti a modello per tutti gli altri […]. Questo è precisamente il caso della civiltà europea moderna.[9]

Possiamo posizionare i tre Logoi su un asse verticale, potendoli rintracciarli in ogni cultura e dunque spiegare ogni cultura attraverso di essi. Ebbene, la geosofia consiste nell’interrelazione di quest’asse verticale con gli aspetti dell’asse orizzontale corrispondente alle diverse culture. L’idea della geosofia è collegata a ciò che in filosofia e antropologia è chiamato prospettivismo, approccio sviluppato dall’antropologo brasiliano Eduardo Viveiros de Castro[10].

L’uomo moderno occidentale ritiene che vi sia un solo mondo, quello fisico, e una sola cultura in grado di comprenderlo correttamente, la cultura europea occidentale moderna. Si tratta di una sorta di “verità” che implica un genocidio a tutti gli effetti delle altre culture, poiché coloro i quali non riconoscono questa verità e non seguono questa specifica cultura sono considerati sottosviluppati e dunque soggetti a colonizzazione e obbligati a conformarsi al modello dell’uomo bianco. Una visione prettamente coloniale, a cui si oppongono i multiculturalisti o postmodernisti, i quali asseriscono che vi è sì un solo mondo, ma molteplici modi di interpretarlo. Rispetto alla visione puramente coloniale, questa impostazione concede la possibilità ad altri di pensarla in modo differente, ma alcuni antropologi hanno rilevato come la base ontologica di quest’unico mondo, che per i multiculturalisti ammette differenti interpretazioni, sia comunque la proiezione del pensiero europeo occidentale moderno sulla natura, cioè la concezione scientifica della natura europea che si assume essere la realtà oggettiva, interpretata poi soggettivamente e differentemente.

In ciò consiste il multiculturalismo[11].

La geosofia si fonda sul principio che ogni cultura crea un proprio mondo a sé stante. Così, non si può dare per scontato che per tutti il mondo sia fisicamente costituito da un geoide in rotazione attorno al proprio asse, poiché possono esservi altre idee del mondo e se coloro che appartengono a una determinata cultura pensano realmente di vivere in un mondo del genere, noi dobbiamo accettarlo, e non giudicarlo fin dall’inizio come un’interpretazione non corretta della realtà che noi supponiamo conoscere meglio di loro.

Tale principio geosofico può essere denominato multinaturalismo. Mentre nel multiculturalismo è presente il vecchio approccio colonialista solo un po’ più edulcorato, il multinaturalismo rappresenta un approccio antropologico completamente nuovo basato sulla dignità di ogni cultura. La geosofia si basa su quest’idea che non esiste un solo spazio e una sola linea temporale; essa rifiuta l’approccio multiculturale per cui si permette ai popoli di differenti culture di interpretare il proprio territorio e la propria storia in modi diversi assumendo tuttavia che noi ne possediamo una comprensione migliore. Nel passaggio dalla nostra civiltà, dal nostro popolo, dalla nostra cultura, ad altri popoli, è necessario prima di tutto indagare su come questi ultimi concepiscano il mondo, guardandosi bene dal pretendere di spiegar loro come il mondo “nella realtà” sarebbe costituito.

La geosofia non coincide con la nostra concezione della terra – “geo” – ma è l’idea che in ogni punto dello spazio vi sono diversi mondi coesistenti nello stesso contesto. Deleuze e Guattari hanno cercato di applicare quest’idea parlando di “geofilosofia”, ma l’hanno fatto dal loro punto di vista postmodernista occidentale-centrico e liberale[12]. Al fine di rimarcare la differenza fra il loro approccio eccessivamente dogmatico e l’approccio aperto della Noologia, Dugin ha quindi introdotto il termine geosofia.

L’idea, riprendendo, è che al fine di studiare le altre culture sia necessario assumere completamente la loro concezione del mondo, senza in alcun modo proiettare su di esse la propria visione degli aspetti soggettivi e oggettivi della realtà, ma cercare di comprendere cosa per tali culture (siano esse arcaiche o moderne) è il mondo oggettivamente e soggettivamente, ammettendo che esse possiedano una distinzione del genere, il che non può esser dato per scontato dacché potrebbero esservi culture prive dei concetti di soggetto o di oggetto. Appare già con una certa chiarezza uno dei drammi novecenteschi che l’Europa ha affrontato, ovvero il tentativo progressivo e progressista di sradicamento delle identità locali nelle varie regioni del continente, criminalizzando i tentativi di tutela delle differenze culturali in quanto non conformi all’agenda dell’egemonia culturale americana o del progetto politico dell’Unione Europea.

Logicamente, l’approccio descritto ci conduce ad una nuova visione della Terra e dell’umanità, non più costituita da civiltà che cercano tutte allo stesso modo di ottenere potere e risorse e da popoli che combattono gli uni contro gli altri tutti secondo modalità conformi ai nostri modelli, ma da popoli totalmente diversi tra loro. Potremmo addirittura dire che la geosofia rappresenta una metodologia per descrivere le civiltà.

Cos’è una civiltà?

Per civiltà intendiamo una comunità collettiva che condivide una medesima visione del mondo e vive in uno stesso mondo: un popolo, un’entità geosofica appunto, o una comunità organica che condivide gli aspetti principali di una cultura e vive approssimativamente in uno stesso mondo i cui confini sono legati alla lingua, alla religione, ai valori, ad una comune visione del mondo e così via. A volte si tratta di un mondo davvero piccolo, come una tribù, altre di un mondo costituito da milioni di uomini. Nello studio di ognuna di queste entità geosofiche, al fine di redigerne una sorta di rassegna, noi scorgiamo ovunque il “momento della Noomachia”.

Cos’è il momento della Noomachia?

Si tratta del punto di equilibrio nel conflitto tra i tre Logoi. Essi sono in lotta, e il momento tangibile di questa lotta corrisponde precisamente all’identità reale della specifica cultura o civiltà. Ad esempio, la cultura greca si basa sul dominio e sulla vittoria del Logos apollineo sul Logos di Cibele. Alla tradizione pelasgica pre-ellenica della Madre di tutti gli dèi – la Madre greca rappresentata nella cultura micenea e minoica – fa seguito l’invasione ellenica con valori apollinei completamente differenti. L’identità della cultura greca, il momento della Noomachia, è precisamente il Logos di Apollo nelle sembianze di Zeus che sconfigge Crono, l’oracolo della Grande Madre. Il momento in cui il Logos apollineo prevale sul Logos della Grande Madre rappresenta una vittoria nella titanomachìa e la civiltà greca si basa precisamente su questo momento vittorioso. I titani, figli della Grande Madre, attaccano gli dèi; questi reagiscono e prevalgono, ma non è sempre così. Nel caso della civiltà greca, gli dèi olimpici vincono, Apollo vince su Cibele.

Al fine di definire il Logos sull’asse orizzontale delle concrete civiltà, dobbiamo definire il momento della Noomachia in cui ci troviamo. Ad esempio, la maggior parte delle società indoeuropee – germanica, celtica, romana, greca, iranica, indiana – si basano sullo stesso momento della Noomachia: la vittoria del Logos di Apollo sul Logos di Cibele. Noi abbiamo l’idea che ogni civiltà si basi sullo stesso momento, ma non è affatto così: il primo passo è dunque quello di definire il momento attuale della Noomachia, e nella fase successiva dobbiamo presumere che la Noomachìa possa cambiare, dacché il momento della Noomachia non è statico bensì dinamico. Se osserviamo i popoli europei, possiamo notare che se essi smettessero di battersi per Apollo, apparirebbe immediatamente Cibele poiché essa è sempre in agguato e attaccherebbe immediatamente nel momento in cui noi smettessimo di imporre la volontà apollinea.

Anche le culture e le identità culturali cambiano. Il momento della Noomachia non va inteso come l’identità eterna di una cultura o civiltà. In ciò si manifesta il significato della storia come lotta dei Logoi cui Dugin fa spesso riferimento. L’identità dei popoli è un processo, è qualcosa che muta, è dinamica. Il momento della Noomachia può rimanere identico a sé stesso o può cambiare. Le proporzioni in cui si presentano i tre Logoi possono variare da popolo a popolo, da società a società, e anche da un’epoca all’altra nella storia di uno stesso popolo, senza che peraltro vi siano mutazioni etniche o sociali.

Otteniamo così una struttura della geosofia realmente in movimento e multilivello e nemmeno procediamo quindi tutti verso Cibele, o verso Apollo, ma ognuno segue una sua strada. La geosofia implica il riconoscimento della molteplicità delle culture in ogni senso, nello spazio e nel tempo: tutti sono diversi e procedono lungo direzioni diverse, in spazi differenti e con un finale aperto. Ora si compari questo approccio con la concezione predominante della Storia in cui vi è un solo spazio, un solo tempo, un solo obiettivo, solo una verità e una sola via per raggiungerla costituente la norma universale. In Europa abbiamo dato forma al concetto di civiltà, basandoci per secoli su un modello esclusivamente occidentale – e non per questo sbagliato, ma senza dubbio limitato – con la pretesa di esportarlo nelle altre culture senza remore. Una situazione analoga si verifica, d’altronde, nell’ambito della globalizzazione liberale moderna, che prevede l’affermazione di un’unica civiltà – la civiltà occidentale, che pretende di essere universale poiché basata sulla mescolanza – a scapito di tutte le altre, estendendo all’umanità intera la stessa cultura moderna e postmoderna occidentale (il concetto totalitario dei diritti umani, prettamente razzista poiché fondato sulla concezione occidentale di cosa è umano assurta al rango di norma universale, il sistema liberal-democratico, ecc.). Questo è tutto fuorché una visione basata su pluralismo e tolleranza. La Geosofia assume dunque il compito rivoluzionario di distruggere l’approccio finora predominante al fine di riscoprire il mondo, di decolonizzare ogni civiltà e conferire all’altro da sé il diritto ad essere altro senza il bisogno di chiedere il permesso ad alcun potentato o ideologo e di affermare la propria identità autentica indipendentemente da ciò che la caratterizza.

Qui ci imbattiamo tuttavia in un grosso problema metodologico: come possiamo studiare differenti società utilizzando gli stessi criteri, dal momento che vi è un numero molto limitato di criteri comuni che possiamo applicare alle diverse società al fine di osservare se vi è qualche aperta corrispondenza?

Per fornire una soluzione a questo problema, è possibile applicare la tricotomia dei Logoi ad ogni civiltà, e ovunque in ogni cultura. Nel caso dell’Europa e dei suoi popoli, possiamo dividere sia in senso geografico, fra sud, centro e nord, ma anche fra est ed ovest, sia in senso cronologico, seguendo lo sviluppo temporale delle varie etnie. Per dare un esempio che renda comprensibile questa topografia, sulla linea del tempo – ammettendo di considerare per una comodità di studio il tempo come lineare e non come circolare, in perfetto stile occidentale – riconosciamo l’antica Grecia con le sue polis, una fase apollinea della civiltà europea primordiale, che si è poi sviluppata in senso dionisiaco nel corso del periodo romano, poi del cristianesimo coi suoi imperi, fino a giungere alla fase di declino della modernità, che apre le porta ad un ulteriore passaggio; in senso geografico, invece, possiamo distinguere l’approccio mediterraneo, etnicamente a maggioranza greco-latina, araba e longobarda, rispetto a quello della Russia continentale o dei paesi scandinavi, le cui popolazioni hanno avuto un radicamento nei territori occupati molto diverso fra loro, cosa che ha inevitabilmente influenzato la manifestazione e lo sviluppo dei Logoi. Possiamo qui notare come lo studio etnico e sociologico di un popolo sia un qualcosa di profondamente politico, perché è dal modo in cui la società fa proprio lo spazio-tempo in cui vive che definisce quale è il suo bene comune da perseguire.

Se è vero che ciascun popolo ha una sua unicità da preservare e conoscere in quanto tale, bisogna cercare di comprendere quali siano con più precisione le coordinate esistenziali entro cui tracciare lo studio. Seguendo Martin Heidegger, a tal proposito Dugin suggerisce di partire dalla definizione di uno spazio esistenziale.

Tale è il Da del Da-sein. Non si tratta dello spazio inteso in termini scientifici, ma dello spazio in cui risiede l’Essere, quello in cui si trova l’essere umano vivente e pensante, e che non esiste senza quest’ultimo; non uno spazio geografico, che possiamo rintracciare sulla mappa; dove vi è l’uomo che pensa e vive in collettività, con una lingua, una cultura, radici, un certo sistema simbolico, vi è uno spazio esistenziale, o potremmo anche dire un orizzonte esistenziale, e dove abbiamo la stessa struttura dell’orizzonte esistenziale, abbiamo lo stesso Dasein e quindi lo stesso popolo o cultura. Il confine di tale spazio indica l’inizio dell’altro da sé. Questo è molto importante al fine di identificare, separare, creare una nomenclatura dei popoli, delle culture e delle civiltà. Se applichiamo altri criteri, più sofisticati, più elaborati, avremo a che fare con risultati secondari relativi a costrutti sovrastanti questo spazio esistenziale.

Dugin considera poi l’aspetto più politico del Dasein, legato ad un Volk, un popolo. Poiché tutto ciò che è umano ha origine nel Dasein che è di conseguenza pre-individuale e pre-sociale, ma allo stesso tempo relazione, ciò significa che il Dasein spiega l’individuo, includendolo interamente in sé[13]; di riflesso, essendo la società formata da individui, il Dasein spiega anch’essa. Non il Dasein è individuale o collettivo, ma entrambi sono racchiusi in esso. Heidegger distingue nettamente l’IO (ich) e il “sé stesso” (Selbst): quest’ultimo rappresenta la radice comune dell’individuo e della società (intesa come popolo). Afferma Heidegger:

Il se-stesso (Selbst) non è determinazione distintiva dell’io (ich). Tale è stato l’errore fondamentale del pensiero moderno. Il se-stesso non è determinato a partire dall’io, ma il carattere di se-stesso appartiene ugualmente anche al tu, al noi e al voi. Il se-stesso è in maniera nuova enigmatico. Il carattere del se-stesso non è appartenente separatamente al tu, all’io, al noi, ma ad ognuno di essi in maniera altrettanto originaria.[14]

Il Selbst precede sia il singolare che il collettivo, essendo una base comune per entrambi. Da qui, Dugin si pone il compito di studiare il Selbst della società, che sarà pertanto società esistenziale, quella che Heidegger racchiude nel termine Volk. Esso è il Dasein identificato in una cultura e in un pensiero, omologia con l’uomo che è tripartito in corpo, anima e spirito dalla metafisica tradizionale: il corpo del popolo è lo spazio che occupa, ovvero la popolazione, la sua entità, la demografia, l’economia; l’anima è la tradizione, la religione, i costumi, la morale; lo spirito, infine, si incarna nei filosofi, negli storici, nei governanti che hanno potere sulle sorti del popolo.

Consapevole, però, del rifiuto heideggeriano della classificazione tricotomica dell’individuo, Dugin necessita di procedere gradualmente verso il ricongiungimento al suo platonismo politico mantenendo l’eredità del pensatore tedesco, il quale, una volta respinta la metafisica tradizionale, inizia un percorso di comprensione su come ci relazioniamo al Selbst, di «chi siamo, come siamo e perché siamo»[15].

Il Volk richiede una nuova prospettiva attuabile attraverso la correlazione del popolo con il suo Selbst, per giungere così al suo Dasein. Le caratteristiche valide sono i suoi esistenziali, proseguendo con il lessico heideggeriano, della cura (Sorge) e dell’essere-per-la-morte (Sein-zum-Tode). Il popolo ha cura, non perché le circostanze oggettive lo richiedano, ma di per sé, perché tale è il suo Selbst.

Nella Sorge rientra anche l’economia di un popolo, che non è altro che la struttura della sua intenzionalità: non è un caso che l’uomo sia coinvolto nel lavoro, la produzione di oggetti con l’aiuto della tecnica è la forma più lampante di intenzionalità. Se quando si osservano gli oggetti naturali l’artificialità della costituzione non è evidente, nella sfera economica è esplicita. Scrive Dugin:

Tutto ciò che è creato dall’uomo e un oggetto intenzionale. Auspicare che il popolo non crei nulla artificialmente, che non venga coinvolto negli elementi di τέχνη (techné), è lo stesso che privarlo della sua intenzionalità (Sorge), ma è proprio questo che è il Dasein, il quale non può fare a meno di avere cura. Ma se il “corpo del popolo” nell’analitica esistenziale si rivela tale, allora la sua “anima” e il suo “spirito”, cioè cultura e filosofia, non saranno sovrastrutture su base materiale ma si riveleranno come altri aspetti di quella stessa cura. Dopotutto, la creazione di un’opera d’arte o di un sistema filosofico non è altro che il risultato di una cura, un atto intenzionale.[16]

Ancora, il Volk ha un altro aspetto che Heidegger chiama “i singoli” (die Einzelne): è il caso in cui il Dasein ascende a sé stesso, all’incontro con l’essere (Sein), e il popolo sperimenta la protezione che è attuazione del potenziamento dell’essere. Nei Quaderni neri, Heidegger scriveva:

Questo [avviene] in base alla terribilità della gettatezza della quale proprio il popolo e i suoi grandi singoli restano l’unica essenziale individuazione (Vereinzelung). Comprendere l’essenza di questi singoli sulla base di ed entro l’individuazione in quanto popolo.[17]

La Vereinzelung è fra il popolo e il singolo, letteralmente li abbina, tanto da far apparire il popolo come una congiunzione di singoli; di più, il popolo non è la base precedente per i singoli e la loro partizione: è già in sé il processo di differenziazione e integrazione. Chiunque nel popolo può diventare un singolo, e questo è contemplato nel popolo stesso, ma tale destino è solo per certuni che pongono l’accento della propria esistenza sul Selbst nella sua veste pura, e non si sovrappongono al popolo né si disgiungono da esso; dopotutto, il popolo è Selbst ed è proprio esso, il popolo come Selbst, a conferire al singolo il suo contenuto, il suo essere e il suo scopo.

Il popolo è anche un soggetto, cioè un orizzonte di gettatezza, e questa gettatezza cresce nel popolo in ogni direzione, ove i singoli sono l’altezza limite di tale crescita; questa altezza è allo stesso tempo profondità e ritorno all’interno del popolo, essendo esso la manifestazione della legittimazione dell’essere. Allora, il singolo raggiunge l’essere solo nel popolo e attraverso il popolo, perché il popolo è l’esserci (Dasein). Qui passiamo al lato progettuale di Heidegger, alla sua idea di come dovrebbe essere la società se il Dasein operasse una scelta in favore dell’esistenza autentica, cioè del se-stesso (Selbst) ed è qui che prende forma il programma sociologico e politico – Entwurf – della Quarta Teoria Politica di Dugin.

Il Dasein è pertanto “multipolare” e l’orizzonte esistenziale ne definisce i confini naturali. Questi ultimi corrispondono in parte ai confini geografici, il che è ovvio poiché il popolo vive in un determinato spazio fisico. In tal senso, possiamo considerare lo spazio esistenziale come una sorta di spazio vitale, il concetto geopolitico di lebensraum ma, allo stesso tempo, lo spazio esistenziale non può esistere senza un popolo, una lingua, delle tradizioni; in altri termini, se noi poniamo una popolazione mista in un qualche spazio, questo non rappresenterà uno spazio esistenziale.

Il Dasein non corrisponde solo allo spazio né unicamente al popolo, esso è la relazione esistenziale del Sein, l’Essere, con lo spazio, che passa attraverso il popolo, la cultura, il pensiero umano. Si tratta di un concetto davvero particolare, molto importante per la geosofia poiché tale disciplina si occupa di studiare precisamente gli orizzonti esistenziali e dunque la relazione dell’Essere con lo spazio che passa attraverso la cultura, la lingua, le tradizioni, l’identità.

Ciò significa che, geosoficamente parlando, lo studio di un popolo non si traduce in uno studio etnologico basato su alcuni aspetti statistici o formali, ma nello studio del Dasein. A titolo d’esempio, se studiamo il popolo serbo in termini geosofici, dovremmo porci in primo luogo la seguente domanda: cosa significa Essere Europeo? Essere italiano? Francese? Greco? Norvegese?

Non è facile dare una risposta. Ogni risposta formale si rivela insufficiente. Poesia, filosofia, immaginazione, aspirazioni politiche: in questa domanda rientra tutto. Non si può fornire una risposta ad essa limitandosi ad aspetti astratti. Per rispondere a un interrogativo del genere è necessario scandagliare la storia, le vittorie, le forme statuali succedutesi, le sconfitte e gli errori storici dacché l’orizzonte esistenziale è connesso allo spazio e al popolo non in modo immateriale. Per ottenere risultati validi dalla ricerca geosofica occorre iniziare a studiare cosa è il Dasein ponendo la questione in questi termini.

Un secondo concetto necessario della geosofia è quello di tempo esistenziale, anch’esso di origine heideggeriana. Il pensatore tedesco usa due termini distinti Geschichtliche e Historische, traducibili in italiano con “storico”, utilizzando talvolta la parola Seynsgeschichtliche, la onto-storia, per indicare la storia dell’Essere. Ambedue sono termini usati per rappresentare il tempo legato all’Essere. Se Da è lo spazio legato all’Essere, Geschichtliche sta ad indicare il tempo connesso all’Essere, il tempo dell’Essere o tempo esistenziale.

Henry Corbin, grande filosofo francese nonché uno dei massimi esperti nella tradizione esoterica islamica, nel tradurre Geschichtliche e Historische in francese, al fine di esplicitare la differenza tra i due concetti, ha utilizzato i termini “historique” (storico) per Historische e “historial” (istoriale) per Geschichtliche[18]. Per istoriale intendiamo il genere di storia dell’Essere, la storia non come susseguirsi di fatti ma come successione di significati, di sensi. L’istoriale (Geschichtliche) rappresenta una forma di lettura esistenziale dello storico (Historische). Lo storico è il fatto che viene documentato, l’istoriale è la spiegazione del fatto, il suo aspetto ontologico. Nella storia, compiamo azioni, gesta, opere che possono essere storiche o istoriali. Affinché si rivelino istoriali, devono relazionarsi col Dasein, con la nostra identità, con le nostre profonde radici.

Allo spazio esistenziale si va ad affiancare dunque il tempo esistenziale. I fatti contenuti in questa interpretazione della storia ci dicono tutto della nostra anima, del nostro sangue, del nostro spirito, mentre per altri potrebbero rappresentare eventi senza alcun significato. Per estensione, possiamo affermare che ciascun individuo è portatore della sua storia personale e di quella del suo popolo, filogeneticamente scritta dentro di sé.

Husserl identificava il tempo con una melodia[19], cioè una sequenza di note musicali che sottende una logica, una tonalità per cui una nota è in qualche modo predefinita dalle note precedenti e la presenza di una nota stonata turba l’ascoltatore; allo stesso modo, la storia, o meglio la sfera dell’istoriale, non rappresenta una semplice sequenza temporale di fatti sconnessi ma una successione di eventi che ha una sua logica. La storia è musica, ma solo il relativo popolo o Dasein può comprendere appieno questa musica istoriale. In altri termini, essa non è universale, l’istoriale di ciascun popolo opera ad una particolare frequenza sonora tale per cui nessun altro è in grado di sentire e comprendere perfettamente la propria melodia. Non potendo quindi ascoltare perfettamente una melodia dall’esterno, risulta particolarmente difficoltoso esprimere delle valutazioni sulla condizione di uno specifico popolo, se esso stia vivendo una fase positiva o negativa, se si stia sviluppando o stia decadendo, ecc. Non ci sono criteri universali nell’ambito dell’istoriale, perché la relazione con tempo è una proprietà esistenziale del Dasein.

Orizzonte esistenziale (spazio esistenziale) e tempo esistenziale (istoriale) sono definiti entrambi dalla Noomachia, poiché in ogni momento non si può esprimere la propria melodia nella storia o la propria identità come popolo situato nello spazio esistenziale senza fare appello ai tre Logoi e al conflitto che li vede partecipi. Esiste una sorta di equilibrio dinamico dei Logoi proprio di ogni popolo, per cui solo attraverso di esso si può spiegare l’istoriale e l’orizzonte esistenziale di un popolo. Possiamo immaginare i tre Logoi come tre tipi di chicchi di grano seminati nel campo esistenziale; essi germoglieranno e cresceranno, qualcuno di loro verosimilmente prevarrà mentre altri rimarranno nell’ombra; ogni terreno esistenziale farà crescere in modo diverso le differenti sementi, ma i tre tipi di semi saranno tutti presenti nell’orizzonte esistenziale. Il modo in cui essi crescono, si combinano e confliggono tra loro, varia da popolo a popolo; ogni popolo con il suo relativo istoriale presenta una specifica modalità di crescita dinamica dei tre tipi di semi.

Come possiamo comprendere realmente tutte queste realtà, se siamo totalmente definiti dal nostro specifico Dasein, se apparteniamo al nostro orizzonte esistenziale, se viviamo in un momento della nostra melodia, del nostro istoriale?

Qui risulta cruciale l’idea della misura. Se noi insistiamo sull’universalità pura e cerchiamo di superare ogni etnocentrismo, non giungiamo a nulla, la nostra posizione diventa inconsistente, poiché non esistono spazio esistenziale e melodia che possano abbracciare la terra, l’intera umanità e la storia universale, si manifesterà ad un certo punto una versione perversa e titanica del nostro stesso etnocentrismo. In Europa possiamo notare questa sproporzione di misure prima con l’imposizione del “modello occidentale europeo” di civiltà attraverso il colonialismo, che ha fatto sì che le culture dei popoli colonizzati venissero interpretare secondo il modello prescelto, e successivamente lo stesso è avvenuto da parte degli Stati Uniti, più a occidente del nostro occidente, che hanno imposto l’egemonia culturale e politica nel “vecchio” continente europeo, dando letteralmente un nuovo “modello occidentale” di civiltà. In altri termini, noi non possiamo esistere senza etnocentrismo, e se tentiamo di negarlo totalmente, otterremo solo un etnocentrismo ancora più marcato, titanico – non a caso globalismo e liberalismo, nel loro universalismo e antirazzismo, si rivelano molto più etnocentrici e razzisti di quanto non fosse il nazionalsocialismo poiché essi concepiscono un solo fato, un solo destino per tutto il mondo, cosa che neanche i tedeschi hanno fatto, avendo questi ultimi cercato di imporre la loro visione germanica, certamente esecrabile, su una scala ben più limitata.

Noi non possiamo pertanto dirci universalisti, ma d’altro canto non possiamo neanche assumere una prospettiva totalmente etnocentrica, altrimenti l’indagine si ridurrebbe alla storia del nostro specifico Dasein.

Come risolvere questo dilemma?

La soluzione passa dal riconoscimento dei limiti naturali dall’approvazione del Dasein degli altri, il che non vuol dire essere disposti a scambiare il proprio con quello di altri, ma riconoscere agli altri il diritto a essere completamente diversi senza instaurare alcuna gerarchia. Non dovremmo eliminare le diversità procedendo nella direzione universalista, ma nemmeno imporre la nostra identità sugli altri in una prospettiva totalmente etnocentrica. Il concetto di confine assume qui una importanza cruciale. Questo significa essere legati alla propria identità, difendendola quando le possibilità lo permetto e le circostanze lo richiedono, ma riconoscendo al contempo l’innato diritto alla diversità. In questo modo, bisogna riconoscerlo, non superiamo l’etnocentrismo ma nemmeno lo glorifichiamo eccessivamente.

Si tratta di vivere senza pretendere di essere il centro del mondo, o meglio l’unico centro del mondo: noi siamo il centro del nostro mondo – se non lo fossimo non saremmo centrati nel Dasein, nella nostra identità, nel nostro sacro territorio, nelle nostre tradizioni, nei nostri simboli e così via, in definitiva non saremmo un popolo – ma al contempo dobbiamo riconoscere agli altri il diritto di essere egualmente il centro del mondo, ai loro occhi, dei loro mondi, nei loro confini esistenziali. Cionondimeno essi devono esistere e devono essere esplicitamente riconosciuti in senso non solo fisico ma anche e soprattutto metafisico, come confini tra orizzonti esistenziali. Questa è l’unica via per costruire una geosofia equilibrata e un mondo basato sulla multipolarità. Diversamente, giungiamo a una sorta di umanesimo privo di essenza e di contenuto, puramente formale, che costituisce l’altra faccia delle degenerate ideologie liberali che caratterizzano il nostro tempo.

  1. Il cammino dell’Europa verso il mondo multipolare

Siamo ora in grado di dare un significato più denso al concetto di identità di un popolo. Senza questo arricchimento, il tentativo di una impostazione multipolare del mondo sarebbe mera strategia geopolitica, mentre qui parliamo di una trasformazione antropologica a tutto tondo.

Uno dei punti più importanti della Teoria della Multipolarità riguarda lo Stato-nazione. La sovranità di questa struttura è stata già messa in discussione durante il periodo di supporto ideologico per i due blocchi, nel periodo della Guerra Fredda, e successivamente con la globalizzazione. È interessante notare che anche i teorici della globalizzazione parlano dell’esaurimento totale degli “stati-nazione” e della necessità di trasferire la loro sovranità ad un “governo mondiale” o della convinzione che gli stati-nazione non abbiano ancora completato la loro missione e debbano continuare ad esistere per un tempo più lungo allo scopo di preparare meglio i propri cittadini per l’integrazione nella “Società Globale[20].

La teoria della multipolarità dimostra che gli stati-nazione rappresentano un fenomeno eurocentrico e meccanico, su scala più ampia, “globalista” nella loro fase iniziale: che l’intero spazio mondiale sia attualmente separato nei territori degli stati-nazione è una conseguenza diretta della colonizzazione, dell’imperialismo e della proiezione del modello occidentale su tutta l’umanità. Quindi, lo stato-nazione non trasporta in sé un valore autosufficiente per la teoria della multipolarità. La tesi della conservazione degli stati-nazione dalla prospettiva della costruzione dell’Ordine Mondiale Multipolare è importante solo nel caso in cui, in modo pragmatico, ciò ostacola la globalizzazione e nasconde in sé una più complicata e prominente realtà sociale[21].

In questo caso, la posizione dei difensori del mondo multipolare è del tutto opposta a quella dei globalisti: se uno stato-nazione effettua l’omogeneizzazione della società e favorisce l’atomizzazione dei cittadini, cioè implementa una profonda e reale modernizzazione ed occidentalizzazione, tale stato-nazione non ha importanza, in quanto rappresenta semplicemente un tipo di strumento della globalizzazione. Quello stato-nazione non è conservato degnamente; non ha alcun senso nella prospettiva multipolare; ma se uno Stato nazionale serve come supporto esterno ad un altro sistema sociale, allora dovrebbe essere sostenuto e conservato mentre si attualizza la sua evoluzione verso una più armoniosa struttura, entro i limiti del pluralismo sociologico ne ello spirito della teoria multipolare. La posizione dei globalisti è diametralmente opposta in tutte le cose: essi fanno appello all’eliminazione dell’idea per cui gli stati-nazione servano come un sostegno esterno a qualcosa di tradizionale (come la Cina, la Russia, l’Iran) e, viceversa, al rafforzamento degli stati nazionali con regimi pro-occidentali: Corea del Sud, Georgia, o i paesi dell’Europa occidentale.

Il mondo multipolare rappresenta un’alternativa radicale al mondo unipolare proprio perché si fonda su geosofia e noologia dei diversi centri, indipendenti e sovrani in grado di prendere autodeterminarsi.

La sovranità in ottica multipolare può essere solo quella fondata geosoficamente, cosa ben diversa dalla sovranità di carattere giuridico degli Stati contemporanei, tanto che nel XXI secolo abbiamo avuto la dimostrazione della discrasia fra sovranità etnica e culturale e sovranità giuridica, continuando ad assistere a relazioni internazionali basate su egemonie e dipendenze, piuttosto che su autonomie e identità[22].

Per fare ciò, i popoli europei devono passare attraverso una profonda analisi della propria geosofia. Devono comprendere le coordinate esistenziali delle etnie e tradizioni. L’ideologia liberale, che in Europa ha affermato con forza la preminenza dell’individuo negando ogni tipo di identità collettiva e organica, fatta eccezione per i feticci delle entità sovranazionali, ha educato al ripudio dell’appartenenza ai Logoi, non semplicemente ad un complesso culturale articolato. Qui occorre comprendere che si è tratta di uno smantellamento metafisico delle identità, sovrascrivendo o sostituendo, spesso con la forza, l’immaginario collettivo di un popolo.

Senza questa assunzione di consapevolezza, che porta ad una riformulazione pragmatica della vita dei popoli, non è possibile concepire l’Europa e i suoi Stati come partecipanti nel mondo multipolare. Attenzione: la rivoluzione deve avvenire prima nei popoli, poi negli Stati, e non viceversa, perché come mostrato sopra è la coscienza identitaria di un popolo a caratterizzarne la conformazione dello stato-nazione, il popolo viene prima della forma politica che sceglie di darsi.

Con il secondo dopoguerra gli Stati Uniti sono riusciti a trasformare l’Europa in un satellite, nonché ponte verso l’Asia e il Medio e Vicino Oriente, privando gli Stati europei di qualsivoglia leadership e sovranità, e gran parte delle peculiarità geosofiche sono state rese obsolete dal globalismo che ha fagocitato il passato utilizzabile dei popoli conquistati. È grazie a questo lavoro durato decenni che l’Europa ha perso di significato geopolitico autonomo. Il susseguirsi di crisi economiche a ripetizione in contesti di mercato liberalcapitalista e il progresso delle tecnocrazie ha completato l’opera di asservimento.

Una geopolitica multipolare, che è prima di tutto un’integrazione geosofica del multipolarismo all’interno dei popoli, e quindi stati-nazione, apre la speranza di una Grande Europa, come l’ebbero a definire i firmatari del Manifesto di Chisinau[23]: uno spazio geopolitico determinato dai confini raggiunti dalla civiltà europea, con una transizione graduale non brutale (non bellicosa), attraverso la ri-acquisizione della propria identità noologica e geosofica, sottraendosi all’arbitrio dei vincitori. Le entità che vengono a formarsi non necessariamente sono omologabili agli stati-nazione che conosciamo, i quali sono in taluni casi il frutto di ripartizioni post-belliche da parte dei vincitori e non comunità di popolo stanziate su un territorio (basti pensare alla sorte dei paesi slavi). L’appartenenza ad un unico continente, spazio-tempo esistenziale, permettere non solo il rafforzamento della molteplicità delle identità, ma anche l’unificazione di intenti, e non di forme politiche come preteso dal globalismo, così da poter interagire con i grandi spazi geopolitici attorno, come l’Asia o l’Africa. Da questa differente impostazione dell’intera Europa, è logico che ne conseguirebbe uno sviluppo di cui non è possibile dare se non che anticipazioni teoriche, intravedendo, fra le varie, la possibilità della revanche culturale nel mondo occidentale dopo decenni di sottomissione. Ancora di più, la Grande Europa viene vista da Dugin come un qualcosa che scavalca il confine degli stati-nazione:

La Quarta Teoria Politica sostiene l’idea di un nuovo impero europeo come impero tradizionale con un fondamento spirituale, e con la coesistenza dialettica di diversi gruppi etnici. Invece degli Stati nazionali in Europa, un impero sacro: indoeuropeo, romano e greco.[24]

La multipolarità, nella sua dimensione culturale e geopolitica, geosofica e noologica, è la chiave per restituire all’Europa il proprio destino. Ma come in ogni lotta di liberazione, sono gli europei stessi a dover compiere il primo passo per uscire dall’egemonia occidentale. Solo attraverso l’Europa è possibile far rinascere l’Europa.

28.01.2022

Note:

[1] La scelta del plurale nasce dalla molteplice declinazione che il globalismo come ideologia assume a seconda degli ambiti della società in cui si presenta. In tal senso, sono di matrice globalista i movimenti liberali come l’attivismo LGBTQI+, i Black Lives Matter, le rivoluzioni colorate nei paesi arabi o del nord Europa, il Friday For Future, per citarne alcuni.

[2] Nicola Abbagnano definisce la tradizione come: «L’eredità culturale cioè la trasmissione da una generazione all’altra di credenze o di tecniche. Nel dominio della filosofia l’appello alla Tradizione implica il riconoscimento della verità della Tradizione stessa. La Tradizione diventa, da questo punto di vista, una garanzia di verità e talvolta l’unica garanzia possibile. […] La tradizione è la sacra catena che lega gli uomini al passato e che conserva e trasmette tutto ciò che è stato fatto da coloro che l’hanno preceduto.» in Dizionario di Filosofia, UTET, Torino 1967, p. 881.

[3] René Guenon e Julius Evola ritenevano che la modernità e le sue basi ideologiche dell’individualismo, liberal-democrazia, capitalismo, consumismo e così via, fossero la causa del declino dell’Occidente e causa di una futura catastrofe dell’umanità, con la dominazione globale dei costumi occidentali trainanti verso la degradazione finale del mondo intero.]

[4] L’opera di riferimento circa la sua teoria geopolitica è A. Dugin, Teoria del mondo multipolare, tr.it. D. Mancuso, AGA Editrice, Milano 2013.

[5] Si legge sulla Treccani online: termine filosofico che significa in genere scienza o dottrina dell’intelletto, coniato nel 1650 dal teologo luterano Calovius (A. Calov o Kalau) per indicare una delle due scienze ausiliarie della metafisica (l’altra è la gnostologia) e precisamente quella che ha per oggetto le funzioni conoscitive, è stato poi adottato, con sign. diversi, da altri filosofi, e in partic. da A.M. Ampère (1775-1836), il quale distingue le scienze in noologiche (v. noologico) e cosmologiche.

[6] Lucian Blaga (1895-1961) fu un filosofo, poeta e drammaturgo rumeno che dedicò parte della sua opera all’applicazione della psicanalisi freudiana alla filosofia. Per approfondire la sua Noologia si veda L. Blaga, Filosofia prin Metafore I, Editura Vremea, Bucuresti 2012, Cap. 5.

[7] A. Dugin, Noomachia. Rivolta contro il mondo postmoderno, ed.it. D. Mancuso e L. Siniscalco, AGA Editrice, Milano 2020, p. 41.

[8] Dugin crea uno strumento valido per un’analisi multilivello, con approcci di: filosofia, storia delle religioni, geopolitica, storia del mondo, sociologia, antropologia, etnosociologia, teorie dell’immaginario, fenomenologia, strutturalismo. Cfr. A. Dugin, Noomachia, cit., pp. 44-45.

[9] Ivi, p. 47.

[10] Si veda in particolare E. Viveiros de Castro, Prospettivismo cosmologico in Amazzonia e altrove, a cura di R. Brigati, Quodlibet, Milano 2019.

[11] Sulla base di tale osservazione, diversi antropologi hanno iniziato a creare un tipo di metafisica battezzata “metafisica cannibale”, attraverso cui viene distrutto questo concetto del mondo unico differentemente interpretato e sostituito con mondi differenti: in questo caso, ciò che i popoli afferenti a diverse culture asseriscono sul mondo non rappresenta più la loro interpretazione soggettiva dell’unico mondo oggettivo, come per i multiculturalisti, ma costituisce la corretta descrizione di cosa essi vedono e percepiscono del loro specifico mondo in cui vivono. Si tratta di un approccio completamente nuovo e la Noologia e la Geosofia rappresentano gli esempi più radicali di questo riconoscimento della molteplicità dei mondi.

[12] Cfr. G. Deleuze, F. Guattari, Geofilosofia. Il progetto nomade e la geografia dei saperi, Mimesis edizioni, Milano 1994.

[13] «Non vi è nulla nel singolo essere umano che non sia nel Dasein. Questa è la base dell’analitica esistenziale. Tutto ciò che è umano è ricondotto al Dasein e in esso trova la sua giustificazione.» A. Dugin, Platonismo Politico, tr. It. D. Mancuso, AGA Editrice, Milano 2020., p. 123.

[14] M. Heidegger, Logica e linguaggio, ed.it. U. Ugazio, Marinotti, Milano 2008, p. 57.

[15] A. Dugin, Platonismo Politico, cit., Milano 2020, p. 125.

[16] Ivi, p. 126.

[17] M. Heidegger, Quaderni neri 1931-1938. Riflessioni II-VI, ed.it. A. Iadicicco, Bompiani, Milano 2015, p. 132.

[18] Per approfondire, si veda H. Corbin, Tempo ciclico e gnosi ismaelita, a cura di R. Revello, Mimesis, Milano 2013.

[19] Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo (1893-1917), a cura di A. Marini, Franco Angeli, Milano 2011.

[20] Il pensatore più interessante in tal senso è Francis Fukuyama.

[21] Molte unità politiche, specialmente nel cosiddetto Terzo Mondo, sono stati-nazione semplicemente in forma nominale e rappresentano in pratica diverse forme di società tradizionali con sistemi di identità più complessi.

[22] Proprio per tale ragione, Dugin sostiene che fra le basi teoriche per un mondo multipolare si debba porre la decostruzione delle egemonie. Vedi. A. Dugin, Teoria del mondo multipolare, cap. III.

[23] In occasione di una conferenza sul futuro dell’Europa, tenutasi a Chisinau il 26 e 27 maggio del 2017, i partecipanti sottoscrissero un documento n cui proponevano una via multipolare per l’avvento di una Grande Europa. Tra i firmatari, provenienti da Russia, Moldavia, Romania, Serbia, Georgia e Francia, figura anche Dugin. Il manifesto è leggibile in Appendice al testo Teoria del mondo multipolare.

[24] A. Dugin, La Quarta Teoria Politica, p. 358.

Bibliografia di riferimento

Testi citati

  • Abbagnano, Dizionario di Filosofia, UTET, Torino 1967
  • Blaga, Filosofia prin Metafore I, Editura Vremea, Bucuresti 2012
  • Corbin, Tempo ciclico e gnosi ismaelita, a cura di R. Revello, Mimesis, Milano 2013
  • Deleuze, F. Guattari, Geofilosofia. Il progetto nomade e la geografia dei saperi, Mimesis edizioni, Milano 1994
  • Dugin, Etnosociologia, voll. I e 2, a cura di D. Mancuso, A. Scarabelli, L. Siniscalco, AGA Editrice, Milano 2021
  • Dugin, Noomachia. Rivolta contro il mondo postmoderno, ed.it. D. Mancuso e L. Siniscalco, AGA Editrice, Milano 2020
  • Dugin, La Quarta Teoria Politica, tr. It. C. Scarpa, a cura di A. Virga, Aspis Edizioni, Milano 2019
  • Dugin, Platonismo Politico, tr. It. D. Mancuso, AGA Editrice, Milano 2020
  • Dugin, Teoria del mondo multipolare, tr.it. D. Mancuso, AGA Editrice, Milano 2013
  • Heidegger, Logica e linguaggio, ed.it. U. Ugazio, Marinotti, Milano 2008
  • Heidegger, Quaderni neri 1931-1938. Riflessioni II-VI, ed.it. A. Iadicicco, Bompiani, Milano 2015
  • Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo (1893-1917), a cura di A. marini, Franco Angeli, Milano 2011
  • Viveiros de Castro, Prospettivismo cosmologico in Amazzonia e altrove, a cura di R. Brigati, Quodlibet, Milano 2019

Altre fonti

  • Aristotele, Politica e Costituzione di Atene, ed. italiana a cura di C. A. Viano e M. Zanatta, UTET, Novara 2015.
  • Aristotele, Politica, ed.it. R. Laurenti, Laterza, Bari 2007
  • Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Dizionario di Politica, UTET, Novara 2014
  • d’Aquino, Commento alla Politica di Aristotele, a cura di L. Perotto, ESD, Bologna 1996
  • Dugin, Dalla Geografia Sacra alla Geopolitica, febbraio 2006

http://www.4pt.su/it/content/dalla-geografia-sacra-alla-geopolitica

  • Dugin, Il logos dell’Europa: catastrofe e orizzonti di un altro inizio, s.d.

http://www.4pt.su/it/content/il-logos-delleuropa-catastrofe-e-orizzonti-di-un-altro-inizio

  • Evola, Cavalcare la tigre. Orientamenti esistenziali per un’epoca della dissoluzione, Edizioni Mediterranee, Roma 20097
  • Evola, Gli uomini e le rovine, Edizioni Mediterranee, Roma 2001
  • Heidegger, Essere e tempo, ed.it. F. Volpi, Longanesi, Milano 20053
  • Jori, Dal mito al Logos. Venti lezioni di Filosofia antica, Nuova Ipsa Editore, Palermo 2017
  • M. Pacini, Scuola di Pensiero Forte. Volume 2, Il Pensiero Forte, Wroclaw 2020.
  • Pecchioli, Uscire dal XX secolo. Un’idea nuova per il terzo millennio. Per una Quarta Teoria Politica, s.d.

http://www.4pt.su/it/content/uscire-dal-xx-secolo-unidea-nuova-il-terzo-millennio-una-quarta-teoria-politica

  • Schmitt, Le categorie del Politico, ed.it. G. Miglio, Il Mulino, Bologna 1972
  • Virga, Intervista sulla Quarta Teoria Politica di A. Dugin, s.d.

https://paideuma.tv/it/video/la-quarta-teoria-politica-intervista-ad-andrea-virga#/?playlistId=0&videoId=0

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